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Beatles, 1971: un anno dopo – 50 anni di rock

today11 Giugno 2021 1694 1

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Beatles per sempre? E’ forse questa una delle frasi ricorrenti che si pronunciano allorquando si pensa al traumatico scioglimento dei Fab Four avvenuto ufficialmente nel 1970 – in realtà, in cantiere da diversi mesi -. Ne abbiamo già discusso qui in modo piuttosto approfondito, tuttavia, la storia di come i Beatles, nell’anno di cui abbiamo parlato durante questa stagione di WideBrations, il 1971, fossero pressoché un pezzo di storia già passata, è stato uno dei leitmotiv che ci ha più volte accompagnati. Anche nella scorsa stagione, parlando della storia del rock in ordine cronologico, il nome dei quattro, prima e dopo lo scioglimento, ha più volte fatto parte delle puntate. Sembra difficile da immaginare a cinquant’anni di distanza, ma il pensare a un mondo senza Beatles, nei primi anni Settanta, era molto più complicato di quanto ci si possa immaginare.

Beatles
In alto, da sinistra: Paul McCartney, Ringo Starr; in basso, da sinistra: George Harrison, John Lennon
Photo credit: WEB

Prima di tutto, cosa portò allo scioglimento dei Beatles? Ne abbiamo ampiamente discusso, e, pertanto, in questo speciale andremo ad analizzare meglio come si siano evolute le volontà e le necessità artistico-comunicative di ciascuno dei quattro.

Ringo Starr

Partiamo da Ringo. C’è forse qualche altro musicista che possa arrogarsi il diritto di essere il “batterista di una band” per antonomasia? Il “beatle triste”, quello introverso, malinconico, non bravo o carismatico come gli altri. Autore di sole due canzoni lungo tutti i dieci anni d’esistenza dei Beatles, “Lady Madonna” e “With a Little Help from My Friends”, ma cantante di diversi brani scritti da altri appositamente per le sue non eccelse doti vocali. Per anni si è discusso di come i batteristi siano solo dei “supporti” all’estro dei cantanti o dei chitarristi, e Ringo Starr ne è stato l’esempio.

Beatles
Photo credit: WEB

“Il Ringo Starr dei Beatles”, citavano i Simpson per definire un personaggio di poca rilevanza trovatosi nel posto giusto al momento giusto; “In un mondo di John e di Paul io sono Ringo Starr”, hanno cantato i Pinguini Tattici Nucleari a Sanremo. A modo suo, forse per le ragioni più sbagliate, l’al secolo Richard Starkey è divenuto l’emblema dei personaggi da retrovia, dei musicisti nell’ombra: di quelli che non spiccano per talento, ma la cui presenza è pur sempre fondamentale.

Ringo Starr, mai realmente coinvolto nelle liti tra i membri della band, all’indomani dello scioglimento dei Beatles, non riuscì certamente a bissare il successo della band, e, men che meno, si impose tanto quanto i Lennon e i McCartney solisti. Tuttavia, nella semplicità della sua espressione, volta più a raccontare le sue passioni per la musica country, o la sua perenne gratitudine per i fan, Ringo riuscì a costruirsi una fetta di pubblico affezionato. Il disco Ringo del 1973, senza dubbio è di ottima fattura e, a distanza di tre anni dallo scioglimento ufficiale dei Beatles, raccoglie tutti e quattro i membri come turnisti – benché non suonino mai insieme -. Alla fine non si può non voler bene a Ringo. L’emblema del mestierante affidabile, che sa il proprio lavoro e lo fa senza rimostrare più di tanto. A conti fatti, nella vita siamo tutti un po’ stati Ringo Starr.

Photo credit: WEB

George Harrison

Il mistico. George Harrison, sotto molti aspetti, ha rappresentato appieno il passaggio dei Beatles da giovani incravattati coi capelli a caschetto degli esordi, agli psichedelici e provocatori hippie successivi a Revolver. George Harrison si appassiona al mondo indiano, al sitar, all’induismo, già allorché la carriera cinematografica dei Beatles inizia a tracollare per lo scarso interesse mostrato dai quattro ai tempi di A Hard Day’s Night. Ben lontano da Ringo, George non nascose mai il proprio risentimento nei confronti di John e Paul, i quali bocciavano spesso e volentieri le sue canzoni. Ne scrisse ben venticinque nei dieci anni beatlesiani, ma solo dopo lo scioglimento del gruppo fu nota al grande pubblico la sua reale produzione.

Beatles
Photo credit: WEB

All Things Must Pass

All Things Must Pass del 1970, primo disco solista di Harrison, constava di ben ventitré brani, composti per lo più negli ultimi anni dei Beatles. “Tutto passa”, canta nella title track. George, sotto molti aspetti, si sente molto scottato dall’essere stato per troppo tempo considerato il “terzo beatle”, ma sente di aver anche maturato una propria direzione artistica. Lo si era già visto durante le registrazioni di Abbey Road, in cui decise di collaborare con l’amico Eric Clapton per la realizzazione di Here Comes the Sun. Lo stesso Clapton sarà uno dei principali turnisti in All Things Must Pass. L’intero album, all’indomani dell’uscita, rese noto al grande pubblico l’abbaglio preso sulle reali qualità di George.

Negli anni successivi, tra alterne fortune, Harrison riuscì a imporsi come un abile cantautore e sperimentatore. Forse non colmò mai realmente quelle lacune carismatiche che gli venivano additate negli anni dei Beatles, ma compensò con un’intensa produzione artistica. Fu di sua iniziativa il celebre Concert for Bangladesh del 1971, primo vero evento benefico della storia del rock.

A esso, oltre al solito Clapton, parteciparono anche Bob Dylan, Ravi Shankar, Leon Russell e, inevitabilmente, Ringo Starr, rimasto unito all’amico come anticipato. Né John Lennon, né tanto meno Paul McCartney vi presero parte. Il primo non accettava lo snobbismo nei confronti della Plastic Ono Band della moglie Yoko Ono – già causa della defezione dei Beatles da Woodstock -; il secondo, differentemente, non prese parte perché in guerra aperta con il manager Allen Klein, ex-manager dei Beatles e, allora, impegnato nella realizzazione di Imagine di John Lennon.

All Things Must Pass – copertina;
Photo credit: WEB

Alterne fortune di una carriera dignitosissima

La poesia, l’esoterismo, il candore di un autore spesso troppo sottovalutato, negli anni ha portato George Harrison a successi non sempre tangibili. Tuttavia, il suo talento compositivo non è mai stato in discussione. Forse, la reale ragione dietro allo scioglimento dei Beatles, la si può trovare proprio nel suo rifuggire le logiche di mercato, concetto che sarà maggiormente visibile nei prossimi paragrafi, quando parleremo di John Lennon.

Ad ogni modo, della carriera di George Harrison rimane da parlare del progetto Travelling Willburys, band che contava tra le sue fila membri come Tom Petty, Bob Dylan, Jeff Lynne e Roy Orbison. Si trattò di un supergruppo che si impose nel mondo folk-rock statunitense a metà anni Novanta. Escluso l’amico di sempre Eric Clapton – i due ebbero persino la stessa donna in periodi diversi, Pattie Boyd, cui il primo dedicò Something, I Need You, For Your Blue, e il secondo Wonderful Tonight e Layla -, il resto della band era formato da sodali di George, concetto che sottolinea una volta di più l’apprezzamento per i rapporti stretti e sinceri di Harrison, venuto a mancare già ai tempi di Abbey Road.

Tuttavia, come ben sappiamo, nel 2001, a seguito di un tumore al cervello seguitante un cancro ai polmoni, George Harrison morì all’età di 58 anni. Un evento tragico, più volte ricordato da Ringo e Paul, suoi amici di sempre. Le sue ceneri, come da lui voluto, furono sparse nel fiume Gange, seguendo la tradizione indù.

Paul McCartney

Eccoci qui. Siamo arrivati ai “pezzi da novanta”. Quante volte ci è stata posta la domanda “sei un Paul o un John?”. Nessuno di voi ha mai chiesto “perché”? Paul McCartney era il cantautore dei Beatles. Colui che maggiormente sfruttava il riscontro “pop” della band per potersi esprimere. Non era uno sperimentatore – lo è diventato -, ma aveva una presa incredibile sul pubblico. A conti fatti, già osservando i filmati delle registrazioni di Let It Be, è possibile osservare come fosse l’unico a voler tenere ancora in piedi i Beatles. Era stato lui a suggerire un ritorno al sound più immediato dei primi anni, eliminando le sovrincisioni, i mellotron, ecc.

Photo credit: WEB

Wings

Forse folgorato dal successo, la sua vera personalità artistica non emerse sin da subito. Fondati i Wings con la moglie Linda, per tutti gli anni Settanta si impose come un rappresentante di quel genere che veniva definito “soft-rock” – anche come contraltare all’hard-rock allora tanto in auge -. Band on the Run del 1973 è indubbiamente un disco imprescindibile, ma lo sono anche Venus and Mars (1975) e Wings at the Speed of Sound (1976), entrambi sempre più diretti verso il mondo pop – in Silly Love Songs, presente sul secondo disco, l’autore si chiede cosa ci sia di male nello scrivere “stupide canzoni d’amore” -.

La maturità artistica

Con il tempo, anche alla fine dell’esperienza dei Wings, Paul McCartney matura una nuova identità artistica, sotto molti aspetti incapace di replicare il buon successo della band fondata con la moglie, ma di fattura sempre più complessa. Anche un po’ toccato dalla morte dell’amico-rivale John Lennon, Paul si avvicina sempre più a nuove esperienze musicali, cimentandosi in collaborazioni con artisti della black music come Stevie Wonder, Michael Jackson, ecc. Diviene produttore cinematografico, concretizza sempre più la propria passione per la pittura, scrive poesie e, negli anni Novanta, entra in stretta collaborazione con la filarmonica di Londra, componendo brani di musica colta.

Probabilmente, il Paul McCartney degli anni Sessanta aveva raggiunto una maturità artistica invidiabile per un giovane, ma quello che seguitò, forse non da subito, si è affermato come un vero autore, capace di raccontare quanto le logiche della Apple, ai tempi dei Fab Four non gli avevano permesso.

Beatles
Photo credit: WEB

John Lennon

Infine c’è lui. Il personaggio più controverso dei Beatles. John Lennon, lo sperimentatore dei Beatles. Laddove George Harrison aveva raggiunto una piena maturità e consapevolezza con le sue composizioni e i suoi studi filosofici, John aveva deciso di irradiare i Fab Four di una nuova luce esoterica. I due progetti Unfinished Music, usciti tra il 1968 e il 1969, avevano messo in evidenza le tematiche cui John si era legato. Convinto pacifista, attivista politico e senza peli sulla lingua, all’indomani dello scioglimento dei Beatles, si trasferì con la moglie Yoko Ono negli Stati Uniti e qui fu subito tacciato d’essere un sovversivo.

Mai più bravo ragazzo

Eccessivamente critico, sotto molti aspetti pieno di sé, ma mai retorico, John Lennon è forse stato uno dei personaggi che più di tutti ha incarnato lo spirito ribelle del rock, prima ancora che giungessero i Ramones o i Sex Pistols. Nel 1971, all’indomani del successo di Imagine, finì addirittura per criticare la title track del suo album perché “piaceva solo perché ricoperta di cioccolato”. Il testo, espressamente anarchico, apolitico, antibellico, ateo e antiretorico, aveva nelle sue idee, il potenziale di scatenare un cataclisma sociale, laddove, invece, fu apprezzato come un tipico affresco pacifista, a tratti ingenuo. Lennon desiderava provocare, distruggere quell’immagine da bravo ragazzo beatlesiana cui rifuggiva già da anni, ma percepiva di non essere compreso appieno.

Photo credit: WEB

Sono famose le fotografie che lo ritraggono nudo, su un letto bianco con la moglie Yoko. Fecero scandalo, ma delinearono anche il personaggio del Lennon artista. I primi cinque anni della sua carriera solista, furono costellati da polemiche. La musica più sperimentale, vicina al mondo orientale dei primi album, fu vieppiù abbandonata in favore di un ritorno alla forma canzone, sempre più controversa e polemica. L’FBI, per anni, lo spiò e non gli concesse la carta verde di cittadinanza, anche a causa delle continue critiche rivolte da Lennon al Paese presso cui era ospite, sia per quanto concerneva la guerra in Vietnam – all’epoca da poco terminata -, sia per gli scandali politici che coinvolsero il presidente Nixon, ecc.

8 dicembre

Tuttavia, alle soglie dei trentacinque anni, dopo aver inciso Wall and Bridges, suo ottavo album, John Lennon si ritirò brevemente dalle scene. Le sue vocazioni artistiche lo avevano portato a imporsi come un perenne oppositore, attirando le attenzioni degli ultimi, degli outsider; ma, senza Lennon, chi si sarebbe occupato di loro? Fu forse questa la molla che spinse Mark David Chapman. Colui che aveva fatto sciogliere i Beatles per imporre il suo vero estro, giunto a schierarsi contro tutto e tutti, adesso si era ritirato. E, quando ritornò nel 1980, con il disco Double Fantasy, smaccatamente pop e ben distante dalle atmosfere dei suoi album precedenti, in molti di quegli “ultimi” si sentirono, sotto molti aspetti, “traditi”. Mark David Chapman, la sera dell’8 dicembre 1980, dopo aver chiesto un autografo a John alla mattina, lo attese con una pistola e lo freddò con cinque pallottole.

Photo credit: WEB

Beatles per sempre. Beatles mai più

“Ehi, signor Lennon, stai per entrare nella storia”, gli disse. Forse non aveva bisogno di essere ucciso per entrarvi, poiché ne faceva già da tempo parte. Ma quell’omicidio, quella tragedia inaspettata che segnò la storia del rock per i decenni a venire, rappresenta forse la perfetta chiosa di questo speciale. La chiosa su una band che sarà band per sempre. John Lennon, forse il membro più strettamente ricollegabile ai Beatles, tanto agli esordi quanto nei loro strascichi, mise la parola fine su una stagione durata vent’anni. Dieci anni di Beatles, indimenticati e indimenticabili, così come rimangono difficili, imperscrutabili i dieci anni successivi, con quelle tanto desiderate reunion che mai avvennero.

Estratto di un documentario sulla morte di John Lennon

E’ stato Mark David Chapman a mettere la parola fine sulla storia dei Beatles? Probabilmente no, ma quell’omicidio, giunto proprio allorché John aveva deciso di rimettersi in gioco, mantiene in sé una visione quasi karmica. Un istante per incidere tutto nella storia. Perché se Let It Be è stato la fine di un’epoca, la morte di John Lennon ne ha inciso nella pietra le date di inizio e di chiosa. Beatles per sempre significa anche Beatles mai più. Perché la grandezza di qualcosa, spesso, scivola nel passato prima ancora di rendersi conto di averla perduta.

Scritto da: Manuel Di Maggio


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