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Molte persone del settore tecnologico della Silicon Valley non danno questi dispositivi ai figli, non vogliono assolutamente che usino i social media, questa è una regola ferrea!
Da mercoledì 9 settembre è disponibile su Netflix The Social Dilemma, un documentario molto interessante su come i social network abbiano cambiato la società. A renderlo degno di nota è il fatto che gli intervistati siano in larga parte ex ingegneri e manager di Google, Facebook, Pinterest, Twitter, che in alcuni casi hanno partecipato in prima persona alla nascita di alcune delle caratteristiche che hanno reso i social onnipresenti.
Se The Great Hack uscito su Netflix l’anno scorso, si concentrava su come l’uso e l’abuso dei social avesse portato allo scandalo di Cambridge Analytica, con una possibile influenza sul risultato di Brexit e dell’elezione di Trump alla Casa Bianca, The Social Dilemma si concentra su come tutte le app che usiamo, siano costruite con l’unica intenzione di sfruttare le nostre vulnerabilità psicologiche e renderci dipendenti. Maggiore è il tempo che passiamo su app e social, più saranno i dati che queste aziende avranno su di noi e più alto sarà il valore cui venderanno i post pubblicitari.
Le loro testimonianze, man mano che il documentario avanza, illuminano lo spettatore su una situazione che, secondo loro, si fa sempre più inquietante. La tesi che presentano questi esperti, infatti, è che i social media non siano altro che degli strumenti subdoli, creati con l’apparenza di uno strumento che soddisfa le nostre esigenze, ma che in realtà servono a monitorare ogni singola azione degli utenti. E non solo: a finire nel mirino sono anche i motori di ricerca, che davanti a un’apparente casualità di risultati cela delle vere e proprie esche, che gli permettono di catturare informazioni private senza che l’utente se ne renda conto.
Spesso si dice che non ci sia nulla da temere perché in fondo si tratta solo di servizi, app, meri strumenti che ci permettono di connetterci con persone lontane o addirittura parlare ad una platea vastissima. Ma come puntualizza Tristan Harris, ex di Google, un attrezzo, un oggetto resta lì, inerme, mentre il social media ti manipola, ti risucchia nella tana del Bianconiglio, mosso dal solo scopo di ottenere la tua attenzione, e il solo modo che ha per farlo è usare la psicologia.
Ho disinstallato molte app dal mio telefono che mi facevano soltanto perdere tempo, tutte le app dei social media, tutte le app di notizie, ma soprattutto ho disattivato tutte le notifiche di qualunque cosa mi facesse vibrare la gamba con informazioni che non erano essenziali per me in quel momento
Si può tranquillamente affermare infatti, senza cadere nella banalità, che l’avvento dei social media abbia realmente rivoluzionato il modo in cui viviamo le nostre interazioni sociali. Il problema è che l’utilizzo che ne facciamo è molto superficiale, e non sappiamo veramente cosa si nasconda dietro la facciata di un sito divertente dove condividere le foto con gli amici. Quello che vuole fare The Social Dilemma è proprio aprire il sipario e andare a sbirciare dietro le quinte, per scoprire la parte più paurosa dei social media.
Jeff Orlowski e i suoi intervistati non hanno dubbi: la società è controllata e manipolata dai social, ed è bene esserne consapevoli per capire la realtà che stiamo vivendo fino in fondo. Anche perché il problema è molto più ampio, e non riguarda solo Facebook o Instagram: secondo Orlowski anche quella che sembrerebbero semplici ricerche su Google, o acquisti su Amazon, potrebbero tranquillamente essere attività monitorate.
Il regista ha dichiarato in più occasioni che lui stesso non usa più i social, e che non si metterebbe mai dentro casa apparecchi come Google Home o Amazon Alexa, strumenti che hanno il preciso scopo di registrare h24 tutto ciò che diciamo. E quando scorrono le immagini del documentario, o quando un intervistato racconta come gli ingegneri dietro Facebook e Google usino la psicologia dell’utente contro lui stesso, una pulce nell’orecchio la mette a te che stai guardando, magari mandando un messaggio su Whatsapp, o interrompendo la visione per controllare una notifica su Instagram. E così ci rendiamo conto che Orlowski non ha tutti i torti quando ci dice come i social ci abbiano completamente tolto la capacità di concentrarci, e di come quella che all’inizio di The Social Dilemma ci sembrava la solita frase fatta sul mondo moderno, sia in realtà qualcosa che ci riguarda più da vicino di quanto ci rendiamo conto.
“Nulla che sia grande entra nella vita dei mortali senza una maledizione”.
La cosa interessante è che anche quando sai come funzionano questi strumenti è difficile non cascarci. Tutti i protagonisti del documentario confermano che alla fine non riescono mai a eliminarli dalla loro “dieta” come vorrebbero. Tempo fa provocò molte discussioni un articolo che svelava che chi lavora nella Silicon Valley vieta ai propri figli l’uso dello smartphone e dei social, cosa che viene confermata anche qui dove viene fatto notare con ironia che il termine user (utente in italiano) utilizzato nel mondo dei software è lo stesso termine che si usa per indicare chi è dipendente dalle droghe. Il modo in cui i social sono costruiti, dice Chamat Palihapitiya, ex Vice Presidente per la crescita di Facebook, con i like, i commenti, le notifiche, crea una dipendenza che ti lascia un vuoto dentro.
Quando sviluppavamo il pulsante “Mi piace” la nostra unica motivazione era “diffondiamo positività nel mondo”, l’idea che in futuro adolescenti sarebbero caduti in depressione per i pochi “Mi piace” o che avrebbero causato una polarizzazione politica non ci aveva completamente sfiorato.
Proprio parlando di minori vengono condivise alcune statistiche degne di nota. Nell’ultimo decennio, ovvero da quando i social sono entrati nella nostra vita quotidiana, il tasso di suicidio delle adolescenti è aumentato esponenzialmente: del 70% per le 15-19enni e del 154% per le 10-14enni. Sottolinea lo psicologo Jonathan Haidt, che la generazione Z, quella nata a metà degli anni ‘90, è la prima ad aver avuto i social media alle medie/superiori. L’uso intensivo dei social ha portato a maggiori livelli di depressione, ansia e difficoltà nelle relazioni sociali. E anche laddove non ci sia la pubblicità, dice Harris, uno strumento come YouTube for Kids rimette nelle mani dei bambini uno strumento che crea dipendenza.
Una cosa bisogna dirla, nessuno degli intervistati pensa che quando tutto è nato ci fosse una volontà di ridurre le persone ad un esercito di zombie ma di fatto è quanto successo in seguito. E quando alcuni se ne sono accorti, hanno deciso di lasciare quelle aziende. Molti dei protagonisti ad esempio hanno co-fondato il Center for Human Technology, organizzazione no profit che ha il fine di educare le persone all’uso della tecnologia in modo che questa resti utile ma senza prendere il sopravvento.
Comunque se già non avete il telefono a tavola e staccate tutto un’ora prima di andare a letto, è già un buon inizio. Nel documentario, un ex dipendente racconta come ha escogitato tre semplici regole che rendono la vita molto più facile alle famiglie e che sono sostenute dalla ricerca.
La prima regola impone che tutti i dispositivi devono stare fuori dalla camera da letto ad un’ora precisa la sera, qualunque sia l’ora (mezzora prima di andare a letto?); la seconda regola vieta l’utilizzo dei social media sino al liceo, che l’età giusta per l’utilizzo dovrebbe essere 16 anni perchè la scuola media è già abbastanza dura da affrontare; la terza regola invita a stabilire un tempo di utilizzo con vostro figlio, chiedetegli quante ore al giorno vuole passare sul suo dispositivo, quale sia un quantitativo adeguato, e spesso la risposta sarà ragionevole.
Una delle sfide lanciate dal regista, per dimostrare che non ci rendiamo conto di quanto sia vero quello che viene esposto nel suo documentario, è di provare a seguire The Social Dilemma senza toccare mai il proprio cellulare. Siete capaci di farlo per 93 minuti?
Se dopo la visione del film avete altre domande potete sempre contattare l’organizzazione al sito internet The Social Dilemma.
Written by: Francesco Spampinato
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