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“Tago Mago” e il krautrock degli inarrivabili tedeschi – 50 anni di rock

today16 Aprile 2021 208 1

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Parlare della musica tedesca, per un musicista, un cultore o un appassionato, rappresenta semplicemente il coronamento di un sogno ma anche l’avverarsi di un incubo. Per la vastità dell’argomento, dei riferimenti e delle comparazioni da porre in evidenza, il rischio di risultare riduttivi fa il paio con quello di apparire parimenti ridondanti o retorici. Il fenomeno del cosiddetto krautrock, per molti cultori di musica, è di difficile interpretazione nelle sue enormi sfaccettature. Prima di tutto perché bisogna mettere in evidenza come il termine stesso, nella sua accezione originale, tenda principalmente a individuare solo una parte della grande stagione musicale teutonica dei primi anni Settanta. L’elettronica, la musica cosmica, il proto-punk tedesco, ecc., sono tutti movimenti che fanno parte di un vasto panorama omogeneo ed eterogeneo allo stesso istante.

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Copertina di Tago Mago dei Can.
Photo credit: WEB

Etimologia del termine krautrock

Per prima cosa, il termine krautrock, com’è facile immaginare, è una parola macedonia coniata dagli inglesi allorché il genere cominciò a sbarcare nelle isole britanniche. In particolare, parallelamente al progressive italiano che oltremanica era noto come spaghetti-prog, anche il termine krautrock nasceva con le medesime premesse. Tuttavia, differentemente dalla scena italiana, il rock tedesco non si sviluppa propriamente in funzione della stagione prog inglese, e se ne distacca ben presto, pressoché agli inizi.

La psichedelia del primo krautrock

Il disco del giorno di cui ci siamo occupati in WideBrations, Tago Mago dei Can, uscì nel 1971 – ça va sans dire -, e, quantunque band come i Tangerine Dream, i Kraftwerk e Klaus Schulze si fossero già diretti verso altre sperimentazioni elettroniche – e cosmiche -, l’album assume propriamente le caratteristiche dell’ultima psichedelia inglese. Esso ha decisamente più in comune con i Pink Floyd di The Piper at the Gates of Dawn piuttosto che con quelli di Atom Heart Mother, per esempio, o con i Genesis, i King Crimson e gli Yes, band che stavano dominando la scena prog britannica.

Lo stesso si potrebbe dire per gruppi coevi ai Can quali gli Amon Duul II, esempio quasi esegetico della psichedelia più estrema à la Iron Butterfly. In Germania, il rock psichedelico più duro, più astratto, tipico di gruppi inglesi quali Gong, Silver Apples, Hawkwind, ecc., aveva messo radici più preponderanti. In sostanza, se la maggior parte delle band psichedeliche inglesi, nel bene o nel male, avevano rivolto la loro attenzione verso altre forme di sperimentazione, in Germania il passaggio non era avvenuto, e, per certi versi, non avvenne mai.

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Tangerine Dream. Da sinistra a destra: Edgar Froese, Peter Baumann e Christopher Franke
Photo credit: WEB

La Kosmische Musik

Ciò che però colpisce è come la scena tedesca, sin dalla fine degli anni Sessanta, con l’addio di Klaus Schulze ai Tangerine Dream, sia stata caratterizzata da un massiccio sviluppo dell’elettronica. Le tastiere, i sintetizzatori, i sequencer che avrebbero trovato terreno fertile in Gran Bretagna solo tra il 1972 e il 1973, in Germania erano già una costante. Basti pensare proprio ai Tangerine Dream, i quali, per il primo disco, Electronic Meditation usarono una gamma di strumenti molto ampia, di estrazione prettamente classica, laddove per il successivo Alpha Centauri – già senza Schulze -, si concentrarono prettamente sull’elettronica che avrebbe contraddistinto la loro Kosmische Musik.

In Gran Bretagna, per esempio, nella scena prog, i principali rappresentanti delle tastiere: Keith Emerson (EL&P), Rick Wakeman (Yes), Tony Banks (Genesis) e Richard Wright (Pink Floyd), salvo sporadici casi, necessitarono un paio d’anni prima di inserire i famosi sintetizzatori Moog nel loro arsenale. A onor del vero, il primo vero disco prog a fare un uso corposo di sintetizzatori, fu il celeberrimo Tubular Bells di Mike Oldfield del 1973.

Il krautrock e cinema espressionista tedesco

Per tale ragione, considerare il krautrock come la versione tedesca del prog inglese sarebbe sbagliato sotto molti principi. Nondimeno, ciò che più di tutti contraddistingue la musica teutonica, è la forte vicinanza alla loro tradizione artistica novecentesca. L’espressionismo del cinema muto, il lugubre, il tetro. Facendo un parallelismo, potremmo pensare al tedesco Richard Wagner, da molti ritenuto il massimo esponente della musica classica romantica, ma che contravvenne ai dettami del genere operistico cui apparteneva con libretti prettamente ispirati dall’epica teutonica. Insomma, la presenza della narrativa espressionista, claustrofobica e cupa di Fritz Lang, di Wiene di Murneau, nell’algida musica del krautrock aveva trovato terreno fertile.

Fotogramma tratto da Il Gabinetto del Dottor Caligari (1920), film simbolo del cinema espressionista tedesco diretto da Robert Wiene.
Photo credit: WEB

L’elettronica

Tuttavia, come detto, il termine krautrock, sotto molti aspetti, non ingloba affatto quello che è un panorama ben più vasto. Abbiamo già parlato della musica cosmica dei Tangerine Dream, di cui vale la pena citare anche i capolavori Zeit (1972), Atem (1973), Phaedra (1974) e Rubycon (1975), possibilmente emblemi del concetto stesso di musica cosmica. La stessa band, già nel 1976, con Stratosfear, si fece più “accessibile”, e, curiosamente, fu proprio in quegli anni che il krautrock divenne un punto di riferimento effettivo presso il mondo anglosassone. Ma andiamo per gradi: prima occorre parlare delle altre forme di krautrock.

I Kraftwerk

Sì, perché, laddove l’evoluzione al citato proto-punk tedesco avverrà qualche anno dopo, l’elettronica ebbe pieno sviluppo in altre vesti, vicine ma comunque differenti dalla musica cosmica. Citiamo i Faust, i Kraftwerk. Costoro, senza dubbio, sono una delle band più importanti della storia tedesca. Al pari dei Tangerine Dream, i Kraftwerk sono tra coloro che hanno permesso alla Germania di esportare la loro musica in Europa e nel mondo.

Arrivati in Italia alla fine degli anni Settanta con The Man Machine (1978), furono – non si sa perché – inglobati nel carrozzone space-rock dei francesi Rockets dalle radio private nell’ambito della disco-music. Uno dei singoli giunti da noi, The Robots, sotto molti aspetti, rappresenta il coronamento stilistico della band: un brano algido, distaccato, schematico, perfettamente cadenzato e, come dimostrato dalle radio italiane, abbastanza accessibile al pubblico. Ecco una delle peculiarità che aveva contraddistinto i Kraftwerk già dai tempi di Autobhan (1974): una maggiore vicinanza alla forma canzone.

Copertina di Die Mensch-Machine (The Man Machine) dei Kraftwerk.
Photo credit: WEB

I Kraftwerk, tuttavia, oltre a rappresentare una band seminale per il passaggio alla massiccia elettronica degli anni Ottanta, hanno, per certi versi, attraversato le varie fasi musicali dei primi anni Settanta in ogni aspetto. Partiti con una psichedelia vicina ai Can o agli Amon Duul II, hanno aggiunto a ogni loro album degli elementi differenti, sino ad arrivare, come detto, all’elettronica pura. Il passaggio graduale, favorito da una maggiore vicinanza ad ambienti di musica colta – cui i Tangerine Dream si erano avvicinati proprio grazie a Klaus Schulze -, e in particolare a Stockhausen – sicuramente ispiratore di molte esplorazioni sonore -, permise a questi primi esponenti del krautrock, di farci immergere in un calderone talmente ampio da non passare inosservato. Stiamo per arrivare a quello snodo, ma prima vale la pena di fare un’ultima analisi.

I Cluster sbarcano in Gran Bretagna

La psichedelia del krautrock non scomparve affatto nel giro di qualche annetto, anzi. I Cluster, band della Svizzera tedesca, per quanto parecchio vicini alla musica cosmica e d’ambiente – come vedremo a breve – risentivano ancora del mondo psichedelico, in particolare ciò si ammirava nel leader Dieter Moebius. La collaborazione tra i Cluster e Brian Eno, giunta nel 1977, arriva dopo due dischi, Zuckerzeit e Sowiesoso, entrambi molto diversi tra loro: il primo più vicino alla melodia e alla canzone, il secondo quasi vicino all’ambient.

Tedeschi e inglesi

Eno, nel contempo, ispirato da un compositore che con Stockhausen aveva parecchio in comune, Terry Riley, incise due capolavori con Robert Fripp, (No Pussyfooting) ed Evening Star. Nondimeno, quando ancora suonava la tastiera con i Roxy Music, si rese protagonista della composizione del capolavoro For Your Pleasure, sperimentale e, perché no, vicino al mondo teutonico. Senza Brian Eno, probabilmente, la musica tedesca non avrebbe mai valicato la manica.

Copertina di After the Heat di Eno, Moebius e Roedelius.
Photo credit: WEB

Fu proprio grazie a questa collaborazione, poi bissata con After the Heat, che Eno divenne un gonfaloniere del mondo tedesco in Gran Bretagna. A lui dobbiamo l’arrangiamento della Trilogia Berlinese di David Bowie, registrato proprio sotto l’influsso dei tedeschi. Gli stessi Kraftwerk, nella celeberrima title track di Trans Europe Express menzionarono David Bowie e Iggy Pop – il quale risiedeva a Berlino con l’amico in quel periodo -. Tuttavia – e qui introduciamo l’ultimo argomento -, per quanto si possa definire il trittico Low-Heroes-Lodger come ispiratore della new wave, bisogna precisare che il proto-punk tedesco, traendo spunto proprio dalla psichedelia del primo krautrock, era riuscito nell’intento di anticipare la cordata di britannici.

I Neu!

Neu! 75, il disco pubblicato dai Neu!, sotto molti punti di vista, è l’antesignano per eccellenza del mondo new wave. I Neu!, da molti anni, sono considerati la band che esprime appieno il concetto di “avanguardia” espressa dai cultori del krautrock. Grazie anche a questo disco, uscito proprio nel 1975, i Neu! gettarono le basi per il futuro. Gli stessi Bowie, Eno e Fripp non negarono mai una certa vicinanza ai Neu!, tanto che proprio in Lodger e, in minor misura, nel successivo Scary Monsters, è possibile osservare i tanti riferimenti posti dal trittico – quantunque Fripp non ci fosse più – ai tedeschi.

“Neu”, in tedesco, vuol dire “nuovo”, e, a ben vedere, è proprio questa la connotazione della band. Essi furono a tutti gli effetti protagonisti di uno slancio definitivo verso l’avanguardia, proponendo il minimalismo statunitense e teutonico come colonna portante della loro musica. Pensiamo alla celeberrima Hallogallo contenuta nel disco: una ripetizione di dieci minuti dello stesso tema, sorretto da un ritmo andante con moto, inframezzata da brevi assoli. Ben lontana dalla psichedelia dei Can, ma, in qualche modo, molto vicina ad essa; lo stesso vale per l’ambiente, per la musica cosmica, da cui si distacca ma con cui ha qualcosa in comune.

Copertina di Neu! ’75 dei Neu!.
Photo credit: WEB

Neu! wave

Il successivo periodo proto-punk, differentemente dall’accezione statunitense o inglese del genere, si contraddistingue per un passaggio quasi spontaneo alla new-wave. Parlare di proto-punk, in effetti, risulta errato. Gruppi come i La Dusseldorf, per esempio, sono classificabili già come new wave, purtuttavia mantenendo caratteristiche dell’elettronica dei Kraftwerk e della psichedelia dei Can. Nondimeno, il loro fondatore, Klaus Dinger, era stato membro tanto dei Kraftwerk quanto dei Neu!. Un altro esempio sul prosieguo quasi “logico” del genere, lo troviamo nel disco Restakraut Pasta (1979), di Dieter Moebius e Konrad “Conny” Plank, tanto vicino al rock psichedelico, quanto alla musica cosmica e, ovviamente, all’elettronica dei Cluster.

Giusto parlare ancora di krautrock?

Sarebbe impossibile catalogare appieno l’intero panorama tedesco. In essenza, esso è tanto sfaccettato quanto logicamente collegato. Ci sono così poche cose in comune tra gli Amon Duul II e i Tangerine Dream, che si fatica a credere che i La Dusseldorf avrebbero ripreso da entrambi alla fine del decennio. Certamente, per quanto il termine krautrock possa sembrare riduttivo, bisogna pur ammettere che il panorama in cui si è svolto, per quanto vasto, è stato unito da un’unica prerogativa: l’esplorazione. Per questo, per concludere questa lunga retrospettiva, vogliamo lasciarci con una celeberrima frase di Klaus Schulze. La musica tedesca non sarà di certo per tutti, e, anzi, sotto molti aspetti, la sua enorme eterogeneità la rende non troppo accessibile a ogni tipo di pubblico. Eppure, ogni amante del rock dovrebbe almeno stimarla, conoscerla e apprezzarla. Perché senza di essa, la musica non sarebbe minimamente stata la medesima di oggi.

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Klaus Schulze all’opera.
Photo credit: WEB

Auguro a tutti una piacevole esplorazione di se stessi, non riesco a esprimerlo al meglio con le parole, perché non sono un poeta ma un musicista“.

Klaus Schulze

Scritto da: Manuel Di Maggio


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