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“L.A. Woman”, The Doors – Il canto del cigno di Jim Morrison

today8 Maggio 2021 245

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Da dove eravamo partiti? E come siamo adesso? Ecco come si potrebbe riassumere L.A. Woman dei The Doors, ultimo disco della band ad avvalersi della leadership di Jim Morrison. La summa della carriera dei Doors è racchiusa tutta in un disco che sa tanto di The Doors (1967) quanto di Waiting for the Sun (1968). Se non fosse per l’ultimo brano, così evocativo, forse la chiosa definitiva di Morrison non avrebbe avuto lo stesso sapore, e la sua improvvisa morte tre mesi dopo, il 3 luglio 1971, non avrebbe portato con sé l’immagine del cantante come di un artista il cui capitolo Doors era effettivamente chiuso. Perché L.A. Woman, quantunque non sia effettivamente l’album degli album dei quattro californiani, ne è la chiosa perfetta, la “partita d’addio del capitano”, per usare terminologie calcistiche.

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Da sinistra a destra: Jim Morrison, John Densmore, Robbie Krieger; in basso: Ray Manzarek.
Photo credit: WEB

Prima di L.A. Woman

Siamo nel 1971 – come ormai pare chiaro poiché non abbiamo parlato d’altro in questa celebrativa stagione di WideBrations -. I Doors si sono affacciati sulla scena musicale da cinque anni, eppure, in questo brevissimo lasso di tempo, la loro carriera è stata così pregna da apparirci lunga dieci volte tanto. Tra il loro sfolgorante debutto del 1967 e il 1971, la band ha riscritto la storia del rock psichedelico, ha attraversato una fase “commerciale”, ha vissuto controversie d’ogni tipo presso l’intellighenzia vicina al politicamente corretto, è stata bandita dall’Ed Sullivan Show, è stata sulla cresta dell’onda per diverso tempo, ma non ha neppure ricevuto un invito per il festival di Woodstock poiché capitato durante il periodo “arido” della poetica di Morrison.

Siamo lontani da Waiting for the Sun e da The Soft Parade; ormai il sound dei Doors è ritornato al blues “acido” e “cruento” dei primi dischi, anche grazie a Morrison Hotel (1970), disco che, però, ha visto ancora una volta critiche rivolte a Jim Morrison per i suoi testi, lontani dalla potenza dei primi anni. La sensazione, dopo le accuse di essersi “venduti”, è quella di una band non più alla moda, ma che può comunque contare su un pubblico consolidato.

Morrison Hotel, nonostante i non eccezionali dati di vendita, sancì un ritorno dei Doors alle sonorità acid-blues immediate degli albori.
Photo credit: WEB

Jim Morrison e le ambizioni bohémien

I Doors sono diventati dei mestieranti, in un’epoca in cui la “controcultura” degli anni Sessanta pare essersi deteriorata, soprattutto con la morte di due icone dell’epoca hippy come Jimi Hendrix e Janis Joplin, entrambi scomparsi a ventisette anni nel settembre 1970. La musica sta cambiando, il mondo è stanco dell’ideale hippy, e, anche grazie al glam rock inglese, negli Stati Uniti si sta sviluppando un nuovo modus cogitandi.

Jim Morrison sa di avere ormai chiuso la sua carriera da cantante, ed è intenzionato a trasferirsi a Parigi per intraprendere la carriera da scrittore. E’ stanco d’essere una rockstar; a ventisei anni, Morrison si definisce già un “vecchio uomo del blues”, e ha anche ben compreso come i Doors, con lui o senza di lui, avranno vita breve. La sua salute mentale è provata, e il famoso concerto di New Orleans in cui collassò sul palco ne è una testimonianza.

Jim Morrison in veste bohémien.
Photo credit: WEB

I quattro membri, da sinistra a destra: Manzarek, Densmore, Krieger e Morrison campeggiano tutti e quattro in foto sulla copertina, con Morrison che richiese di apparire più in basso, con il suo look barbuto da dandy, ormai sua caratteristica che lo allontanava dall’icona sessuale dei suoi albori. Nondimeno, poiché per anni i Doors erano stati la “band di Jim Morrison”, egli aveva deciso di virare verso questa nuova immagine in comunione con i tre amici e colleghi. Un ulteriore distacco dal mito di Morrison con cui era stato dipinto dacché aveva raggiunto la fama di idolo sessuale delle giovani groupie.

Il disco

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Copertina di L.A. Woman
Photo credit: WEB

Lato A

Non è L.A. Woman a sancire la perfetta chiosa sull’incredibile esperienza che abbiamo vissuto in questi cinque anni, ma tutto ciò che porta con sé. Ci sono ancora lasciti “commerciali” nel disco, tanto che Paul A. Rothchild decide di lasciare la band di cui era stato produttore sin dagli albori, venendo sostituito da Bruce Botnik. La formazione di turnisti, peraltro, si è ridotta pesantemente, potendo contare solo su Marc Benno come supporto a Robby Krieger per le chitarre, e sul solito basso di Jerry Scheff, sotto molti aspetti il quinto Door.

The Changeling, brano d’apertura, si caratterizza per un walking di basso parecchio incalzante che dialoga con l’organo blues di Manzarek. I fraseggi del tastierista, contrapposti alla ritmica di Robby Krieger, fanno da perfetto tappeto per il testo di Morrison, il cui intento è preannunciare già dal principio il suo dissenso nei confronti del mito costruitogli addosso; lo si percepisce già dal titolo. La seconda traccia è la vituperata Love Her Madly, uno dei brani che spinse Rothchild a lasciare la band. Scritta da Krieger, considerata come commerciale e “plasticosa”, negli anni, essa si è imposta come uno dei singoli di maggior successo degli ultimi Doors.

Love Her Madly

Been Down So Long è un blues vecchio stile, con un ritmo cadenzato e che lascia spazio anche al turnista Benno, il quale dialoga con Krieger in una sequenza degna dei migliori bluesman cui egli si ispirava. Molto più quieto è il successivo Cars Hiss by My Window, anch’esso un blues parecchio vicino alla tradizione più classica del genere. Dopo l’armonica presente nel celeberrimo brano Roadhouse Blues di Morrison Hotel, stavolta è Morrison a imitarne il suono per un assolo tanto geniale quanto rigoroso nell’omaggiare il piccolo strumento a fiato. Un brano che parla, come nella tradizione del primo Morrison, dell’atto della copula, in uno sguardo “allucinato”, “acido”, alla desolazione del post-coito.

Cars Hiss by My Window

L.A. Woman – La title track

La title track, lunga più di sette minuti, è forse il brano che meglio di tutti rappresenta le intenzioni poetiche del nuovo Jim Morrison. Citando la biopic di Oliver Stone, “Il rock è cazzo, e con la pancia non vai da nessuna parte“. Jim Morrison non è più quel personaggio che mostrava i genitali – si presume – un anno prima al concerto di Miami. Il brano, rapida e incalzante jam session, rafforza il concetto già presentato in The Changeling, ovverosia l’addio a Los Angeles. Perfetta chiosa sull’idea sociale di Morrison, cui ancora manca l’approfondimento che vedremo al termine del lato B.

L.A. Woman

Lato B

L’America è il primo brano che inaugura il lato B. Originariamente composto nel 1969, ai tempi di The Soft Parade, avrebbe dovuto fare parte dell’allucinata colonna sonora di Zabriskie Point del nostrano Michelangelo Antonioni – per cui i Pink Floyd composero gran parte dei brani -. Grazie al suo andamento a tratti orgiastico, forse figlio delle influenze che Morrison subì dal mondo newyorchese, dalla conoscenza di Andy Warhol e dalla sua fugace relazione con Nico, esso tenta di descrivere un viaggio nell’America Latina, rifacendosi al tema molto diffuso della rivalutazione dei nativi che aveva dominato la poetica hippy.

L’America

Hyacinth House, a dispetto del suo sound parecchio armonioso in maggiore, affronta il tema della solitudine, mostrandoci un dialogo piuttosto insolito tra la voce cupa e volutamente mesta di Morrison, contrapposta alle chitarre di Benno e Krieger. Crawling King Snake è invece una cover di un brano blues di John Lee Hooker. Il riff è inconfondibilmente legato allo stile del bluesman di Chicago, e le tastiere di Manzarek, seguono la scia ritmica piuttosto semplice dettata da Densmore, frattanto che Krieger, a metà canzone, si concede un assolo volutamente sporcato e distante dal suo solito suono pulito e preciso. Si tratta della prima cover mai pubblicata in un disco dai Doors. In passato, altri brani blues di Willie Dixon e Bo Diddley avevano fatto parte dei concerti, per esempio Back Door Man di Dixon era pure apparsa nel medley di Absolutely Live dell’anno prima.

Crawling King Snake

Un ultimo blues dalle sembianze classiche è The WASP (Texas Radio and the Big Beat), penultima traccia. Si tratta di un brano in cui Robbie e Ray dialogano seguendo la batteria sincopata di John Densmore. Il cantato di Morrison, rispolverando anche un’altra tradizione appartenente al genere, si fa più vicino a un parlato, imponendo un testo dalle vaghe venature critiche nei confronti proprio della società Wasp (White Anglo-Saxon Protestant), ovverosia la classe più agiata statunitense, quantunque appaia tutto aleatorio e non eccessivamente diretto.

The WASP (Texas Radio and the Big Beat)

Riders on the Storm – Il testamento artistico di Jim Morrison

Ci siamo, ce l’abbiamo fatta, ecco che L.A. Woman volge alla conclusione con il suo capolavoro. L’idea di partire con la pioggia è di Botnick, mentre il brano è nato da una jam session, il che la dice lunga su quanto effettivamente Morrison avesse pensato di raccontare l’evento che più di tutti lo aveva segnato sino ad allora. Riders on the Storm è l’ultimo vero capolavoro del poeta californiano. Forse non si impone con la stessa prepotenza dei capolavori del passato, ma è senza dubbio la tanto bramata chiosa perfetta di cui abbiamo discusso all’inizio.

La storia racconta di un giovane Jim, in auto con i suoi, che osserva dei nativi assassinati per strada. Per anni aveva raccontato che lo spirito di uno di essi, presumibilmente uno sciamano, si era impossessato di lui, ma nessuna canzone ne aveva mai affrontato la tematica. Un giorno, allorché Ray Manzarek trovò l’iconico walking di basso che accompagna tutto il brano, Jim sentì di avere il testo perfetto. Un brano dalle forti venature jazz, contraddistinto dall’assolo al piano elettrico, dall’inconfondibile riff e dalla superba chitarra di Krieger. Il cantato di Morrison si fa freddo e algido durante la strofa, per acuirsi lievemente durante il ritornello. La chiusura è affidata alla sua voce riverberata, la quale ne ripete il titolo sino a raggiungere un falsetto strozzato, favorito da una sovrincisione che premia gli alti.

Riders on the Storm

L.A. Woman e la chiusura dell’epopea hippy

La summa poetica dell’ultimo Morrison, il bohémien, il poeta maudit, è tutta racchiusa in questa perfetta chiusura che simboleggia davvero la fine dell’epopea dell’artista. I Doors sono dei mestieranti, forse, e il pubblico non li ritiene più esplosivi e controversi come un tempo, e forse non hanno molto da dire ancora, eppure Riders on the Storm non è solo la perfetta chiusura di L.A. Woman, bensì l’ultima gemma di Morrison. In tutta la sua maestosa potenza, Jim ha incarnato appieno un’epopea indimenticabile, imponendosi nel 1967 come contraltare più lugubre ai bagordi di San Francisco, e terminando la stagione hippy con la sua dipartita nel luglio del 1971. Dopo Jimi Hendrix e Janis Joplin qualche mese prima, la terza icona della controcultura statunitense degli anni Sessanta scende dal palcoscenico a ventisette anni. Essi faranno compagnia a Robert Johnson e Brian Jones, deceduti alla medesima età rispettivamente nel 1938 e nel 1969.

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An American Prayer (1978)
Photo credit: WEB

Dopo L.A. Woman

E’ per tali ragioni che L.A. Woman rappresenta il canto del cigno. Non solo dei Doors, non solo di Jim Morrison, ma di un’intera epoca. I Doors incideranno altri due album con tale nome nello stesso anno e nel 1972 (Other Voices e Full Circle), per poi mettere in musica il libro di Morrison, Una Preghiera Americana nello splendido disco An American Prayer del 1978. Ma la morte di Jim Morrison a Parigi, misteriosa come tutte le leggende che circolavano su di lui e che egli stesso alimentava, sancisce tragicamente la fine di un’epoca. Una tragedia catartica, tuttavia, che esprime appieno la quintessenza della poetica rock. Nella storia della musica rock propriamente detta, Jim Morrison rimarrà a lungo come uno degli emblemi dei concetti di eros e di thanatos estremizzati. Jim Morrison è il rock, in tutto e per tutto.

Scritto da: Manuel Di Maggio


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